Hai Ritanna

Reazione in appoggio alla lettera di Teresa Benedini pubblicata nella rubrica “Ci scrivono i lettori” del numero 06 del 15 marzo 2017 di “Rocca”, rivista  della Pro Civitate Cristiana di Assisi.

Rocca – 06 – 15 marzo 2017

“Ahi Ritanna!”

Desidero comunicare che il mio abbonamento non verrà rinnovato per il 2017. Francamente mi aspetto che una rivista dal tenore cristiano, abbia pure la capacità di rilevare il positivo e non solo il negativo. Se non sappiamo fare questo siamo alla stregua di molti giornali e telegiornali dei quali non se ne può più! Il mio riferimento è soprattutto all’aspetto politico. La signora Armeni, forse, come tanti suoi conoscenti politici, non riesce a fare altro che guerra al Governo, in particolare al Pd. Sono impegnata in politica e, posso assicurare che non è come la descrive la signora. Che il segretario Renzi non piaccia alla signora… non deve essere tanto evidente!!! Ad ogni modo ognuno ha le proprie idee. Io sarò sempre grata a Matteo Renzi per il coraggio che ha avuto di andare contro tutti, perché l’Italia facesse dei passi avanti! Buon lavoro a tutti. Teresa Benedini Brescia

 

Gentile signora, lei mi accusa di avere un atteggiamento «preconcetto» nei confronti del Pd e del suo segretario Matteo Renzi. Ne è molto arrabbiata e questo mi dispiace. Cercherò di risponderle mettendo da parte le passioni e scendendo nel merito. Partiamo innanzitutto da una scelta di campo: sono una giornalista e una donna che ha sempre militato a sinistra. Ho lavorato in molti quotidiani e settimanali della sinistra. Quello che mi ha sempre contraddistinto è una particolare attenzione ai più deboli e alla loro condizione sociale; una volta si diceva «classe operaia», oggi si parla del «basso della società», dei senza lavoro, dei pensionati alla soglia della povertà. Questo è il mio filtro, il mio modo di leggere l’azione di questo o di altri governi. Li giudico osservando se la loro azione incide o meno sulla condizione dei più deboli, se tenta di migliorarla. Con una scelta di campo netta, credo tuttavia di non mancare mai di obiettività e di argomentare sempre le mie opinioni. Un giornalista non ha il dovere di essere positivo o negativo, ma di essere attento e critico. Meglio un giornalista che ecceda in critica piuttosto che in un ottimismo che può rapidamente – mi creda ne ho visti tanti – degenerare in servilismo. Mi dispiace che i miei articoli non la soddisfino, ma faccio questo mestiere da oltre quarant’anni e non non ho mai ceduto alla lusinga di incensare il potente di turno. Naturalmente ho ricevuto molte critiche, ma mai nessuno – e sottolineo nessuno – mi ha detto che ho scritto un’inesattezza o una cosa non vera. Del resto non lo fa neanche lei, si limita a criticare quelle che lei presume siano le mie idee. E a lamentarsi perché non coincidono con le sue. Capita. Una piccola critica a mia volta. Che cosa c’entra il tenore cristiano con le questioni che lei solleva? Sta dicendo che per essere buoni cristiani si devono accentuare gli aspetti positivi e quindi approvare l’opera del governo cioè in sostanza sostenere Renzi? E che all’opposto chi non lo fa non esprime un giusto tenore cristiano? Spero proprio di no. Anzi sono sicura che lei non voleva dire questo… ma per un attimo ne ho avuto l’impressione. Le auguro di continuare a leggere Rocca (non per i miei articoli, li salti pure) ma è una rivista così ricca e interessante! Cordiali saluti.  Ritanna Armeni

Rocca 09 – 1 maggio 2017

“Ahi Ritanna !”

Cara Ritanna, non intendo annullare il mio abbonamento a “Rocca”, che leggo sempre con grandissimo interesse, ma vorrei esprimere la mia sintonia, nella sostanza, con la lettera di Teresa Benedini pubblicata su “Rocca” del 15 marzo. Ho cercato di capire come mai leggo con sempre maggiore insofferenza non solo i suoi scritti, ma anche quelli di molti altri giornalisti di sinistra (non leggo stampa dichiaratamente di destra), che trattano dell’operato di Renzi e delle attuali dispute all’interno del PD. Questo non dipende dalla sua attenzione ai più deboli. Credo che tutti i lettori di “Rocca”, me e Teresa Benedini compresi, siano, su questo, in piena sintonia con lei. Quello che mi disturba è che quasi tutti i commentatori di sinistra non tengano conto che Renzi, in quanto presidente del Consiglio dei Ministri, aveva la responsabilità di governare il nostro Paese in un contesto nazionale ed internazionale particolarmente difficile e che il PD, legittimamente, anzi doverosamente, deve porsi come partito di governo e non, come in un passato non troppo lontano, come un partito di opposizione fortemente ideologizzato. Ben inteso questo non implica che non si possa criticare l’operato di Renzi, ma penso che tutti quelli che si rivendicano di sinistra dovrebbero farlo in modo responsabile, cioè con proposte correttive o alternative realizzabili ed operative, e non enunciando una sintonia demagogicamente generica con un elettorato di sinistra non meglio identificato. Considero che in questo la sinistra dovrebbe dimostrarsi più responsabile di un Grillo o un Salvini, se non altro perché per ora dispone ancora di una maggioranza parlamentare ed ha quindi la responsabilità di governo.  Sono personalmente molto preoccupato non tanto per il disincanto dei nostalgici, verosimilmente irrecuperabili, ma per il voto dei molti giovani che sembrano attratti dalla protesta senza prospettive del “non partito” di Grillo e per il rischio che quello che sta succedendo all’interno del PD non risolva nessuno dei problemi del partito e dell’Italia, ma fornisca armi preziose al “non partito” in questione. Mi permetta di aggiungere, a proposito dell’obbiettività che lei rivendica con vigore nella lettera di risposta a Teresa Benedini,  che nei molti articoli che ho letto sul post-referendum ho trovato costanti richiami alla necessità da parte di Renzi di rivedere l’impostazione del suo programma di governo alla luce del risultato referendario, ma paradossalmente non ho letto nessun richiamo agli illustri rappresentanti della sinistra che nella campagna referendaria hanno scelto la compagnia di Grillo, Berlusconi e Salvini, perché, alla luce del risultato e delle sue conseguenze,  chiariscano la logica della loro apparente “deviazione ideologica” e definiscano, in modo esplicito e credibile, le  politiche alternative che propongono per risolvere concretamente i molti problemi del nostro Paese e le strategie elettorali che intendono mettere in atto per ottenere la maggioranza parlamentare necessaria per attuarle. Sono personalmente fra quelli che considerano il 60 % dei no una grossa sconfitta per il futuro del nostro Paese ma che, visto il clima esasperato e settario e la confusione ideologica e di contenuto nel quale si è svolto il dibattito referendario, il 40 % dei sì sia stato, per Renzi, un notevole quasi insperato successo.  Per rendere ancora più concreto ed esplicito come vorrei che fossero abbordati i problemi da chi, come lei, ci aiuta a riflettere aggiungo, qui di seguito, la reazione che mi ha ispirato la lettera di un nostalgico di sinistra pubblicata sul l’“Espresso” del 25 febbraio 2017 nella rubrica “Noi e Voi” di Stefania Rossini. Con molti cordiali saluti. Ranieri Di Carpegna

“La mia sinistra non c’è più”

26 Febbraio 2017
Cara Rossini,
io alla svolta della Bolognina, dove il Pci diventò il Pds, c’ero e ho pianto. Oggi sono ancora qui a guardare la fine vera di quello che fu il mio partito e non piango più: scoppio di delusione. Ne ho viste tante, sa? Figlio di operai, con nonni contadini, ho potuto studiare ingegneria per i sacrifici enormi dei miei genitori ma anche per il clima positivo che si respirava in un Paese che, sia pure negli incandescenti anni Settanta, guardava al futuro e voleva costruirlo. In quel clima molto contava la presenza di un partito comunista che sapeva prendersi carico delle esigenze dei più deboli e lottare per loro.
La mia vita professionale è andata bene e ancora oggi, a 67 anni, lavoro con soddisfazione. La mia vita politica di giovane comunista, e più tardi di maturo militante, è stata invece tempestata da uno slalom di gioie e dolori. La gioia di avere un leader come Enrico Berlinguer che ebbe il coraggio di staccarsi dall’Urss, il dolore per la sua morte, lo smarrimento di vedere sparire un partito, alla Bolognina appunto, che tanto aveva significato dalla Resistenza in poi. Lo stupore di vederlo attraversare, con nomi diversi e con svolte sempre più atlantiste e liberiste i successivi 15 anni.
Non sempre capivo, ma ho accettato che Romano Prodi privatizzasse le industrie italiane a partecipazione statale, che Massimo D’Alema si facesse complice dei bombardamenti in Kosovo, che Piero Fassino chiedesse esultante a un banchiere “Abbiamo una banca?”, e potrei continuare. Ho dato la mia fiducia anche a Walter Veltroni quando il vecchio Pc e la vecchia Dc si sono mischiati e confusi nel Pd; l’ho visto fallire e mi sono sforzato di credere in Pier Luigi Bersani, anche se era evidente che non aveva la stoffa del leader.
Ma quando è arrivato il giovane Matteo Renzi, ho capito che la sinistra in Italia era morta e sepolta, anche se non avrei mai immaginato che l’articolo 18 sarebbe stato affossato proprio dagli eredi del grande partito della sinistra italiana. Ma è andata così, e i tardivi sussulti di chi si ricorda adesso di essere di sinistra, non mi scuotono né mi commuovono. Starò a guardare senza emozioni che ne sarà di tutto ciò con la fiacca speranza che qualcosa di sinistra covi ancora sotto le ceneri delle nostre speranze perdute.
Attilio Guadagni
Tra le molte lettere che hanno trattato con toni diversi la questione della scissione nel Pd, questa sola ha il merito di raccontare, in una biografia politica essenziale, il disincanto di un’intera generazione di uomini e donne di sinistra. Per questo merita tutto lo spazio.

 

 

27 Febbraio 2017
Cara Stefania,
la ringrazio per aver pubblicato la lettera “La sinistra non c’è più” che ha permesso a me, ma credo anche a molti altri, di capire le motivazioni dei dissidi che stanno lacerando, dall’interno, il Partito Democratico. Mi permetto, per suo tramite visto che non dispongo del suo indirizzo, di consigliare all’ingegner Guadagni, che mi sembra una persona equilibrata e sincera, un piccolo esercizio intellettuale che è stato per più di 40 anni professionalmente il mio, in quanto funzionario nel settore pubblico. Si tratta di immaginare quali sarebbero le iniziative politiche che giudica le più appropriate ed efficaci per permettere al nostro Paese di inserirsi con successo, in termini di occupazione e di sviluppo, nel difficile contesto mondiale al quale siamo confrontati. Per evitare un esercizio di pura fantasia e di cadere nel libro dei sogni mi sembra però indispensabile partire da alcune premesse. Innanzitutto che per fortuna il nostro è un Paese democratico e che quindi chi ha la responsabilità di governare deve tener conto degli interessi legittimi della maggior parte possibile di nostri concittadini, tanto di sinistra che di destra. Inoltre, che la mondializzazione è un dato di fatto, dovuta allo sviluppo tecnologico, ad internet, ai voli low cost, ma soprattutto all’attenuazione dei conflitti armati ed ideologici che ha permesso ad una parte territorialmente e numericamente preponderante del mondo di sbloccarsi e di darsi da fare per conquistare legittimamente una sua parte di benessere. Sul piano nazionale bisogna ovviamente tener conto delle nostre potenzialità, che sono molte, ma anche dei nostri drammatici problemi: la criminalità organizzata che intralcia lo sviluppo  delle nostre regioni meridionali e falsa la concorrenza nelle nostre regioni settentrionali, la propensione molto diffusa all’evasione fiscale, un debito pubblico stratosferico che riduce le possibilità di intervento del settore pubblico, non per colpa dell’Europa o della Merkel, ma perché una parte del bilancio dello stato è impegnato per pagare gli interessi, una funzione pubblica che pur disponendo di individualità fra le migliori del mondo è purtroppo molto spesso dominata dagli assenteisti e demotivata professionalmente dal ricorso sistematico alle consulenze esterne quasi sempre di natura clientelare etc. etc. . Mi sembra che l’obbiettivo che si è dato Renzi è di dare maggiore competitività al sistema Italia e contestualmente di ripartire più equamente gli oneri e i benefici che ne derivano. Il difficile è realizzare questi due obbiettivi visto che implicano riforme importanti di settori politicamente difficili quali la scuola, la funzione pubblica, la fiscalità, il lavoro, la sicurezza, le infrastrutture…, senza dimenticare la riforma istituzionale che tutti i partiti consideravano indispensabile e la riforma della legge elettorale. Si tratta di misure che toccano sensibilità tanto di sinistra che di destra e che quindi incontrano opposizioni da tutti e due gli schieramenti. Se l’ingegnere avrà la pazienza di dedicare un po’ di tempo a questo interessante esercizio mentale apprezzerà, credo con occhi diversi, quanto Renzi è riuscito a fare, grazie ad un’energia ed a una capacità operative che a me sembrano eccezionali, nonostante le continue contestazioni interne al suo stesso partito ed in un Parlamento dominato da eminenti “statisti” che pur dichiarandosi a gran voce paladini dei problemi della gente  sembra, a giudicare da quanto mettono sui siti internet e dal niente che dicono molto abilmente nei talk show, che  non abbiano la ben che minima idea di cosa bisognerebbe fare per cercare seriamente di risolverli o, più verosimilmente, che sanno benissimo che le soluzioni implicano tempi lunghi e soprattutto misure impopolari che ovviamente aborrono. Forse l’ingegnere sarà un po’ più comprensivo anche nei riguardi dell’insofferenza di Renzi verso chi, a fronte di problemi drammatici da affrontare in un contesto europeo e mondiale sempre più complesso, non sembra impegnato a migliorare le sue proposte di legge e a renderle più efficaci, ma si limita a lamentare l’assenza di concertazione, di dialogo, di empatia con l’elettorato di sinistra. Credo che l’analisi attenta dei problemi nati, in gran parte, dallo sperpero di risorse favorito tanto dalla destra che dalla sinistra, nel periodo che Guadagni sembra ricordare con nostalgia, lo porterà anche ad  individuare con maggiore obiettività dove si trovano le responsabilità e l’arroganza all’interno del partito Democratico, soprattutto quando queste accuse vengono da chi, a suo tempo, ha orchestrato per puri calcoli di potere personale la caduta del primo governo Prodi che era riuscito, con il suo operato, a motivare gli Italiani di buona volontà ed a dare qualche speranza  in un futuro migliore per il nostro bellissimo e sfortunato Paese. Personalmente rimprovererei a Renzi di non avere, all’inizio del suo mandato, prospettato chiaramente agli Italiani e soprattutto ai giovani, che sono attualmente i più vulnerabili, i problemi da affrontare, la logica delle misure proposte ed i tempi necessari per concretizzarle, indicando quelle destinate a dare risultati più a lungo termine e quelle finalizzate, non come dicono i detrattori a comprare consenso, ma a tamponare temporaneamente le situazioni più drammatiche. In questo Prodi, a suo tempo, era stato molto più bravo di lui. Grazie per l’attenzione e molti cordiali saluti.
Ranieri Di Carpegna

19 Marzo 2017
Gentile Ranieri Di Carpegna,
il suo interessante intervento è stato pubblicato come commento alla lettera del sig. Guadagni, che appare anche nel nostro sito on line. Ecco il link: http://lettere-e-risposte.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/02/26/la-mia-sinistra-non-ce-piu/
Grazie dell’attenzione e cordiali saluti
Stefania Rossini <stefania.rossini@espressoedit.it>

A proposito dell’EURO

Caro Augias,

sono sorpreso per il rilievo dato all’articolo di Luciano Gallino su “la Repubblica” del 22 settembre. Mi sembra che articoli del genere,  nonostante ed anzi a causa dell’indiscussa autorevolezza dell’autore, non aiutino i lettori  a farsi un’idea obbiettiva di cosa rappresenti per l’Italia  l’uscita  dall’euro. Metà dell’articolo analizza le modalità giuridiche di un eventuale negoziato, a mio modesto avviso aspetto  marginale del problema. Se realmente l’uscita dall’euro fosse determinante o semplicemente potesse realmente fornire un aiuto consistente all’Italia per risolvere i suoi annosi problemi strutturali credo che non ci sarebbe bisogno di sognare,  non sarebbe troppo difficile trovare un governo, tanto di destra che di sinistra, capace di negoziare l’uscita dall’euro. Quello che Gallino non spiega é per quale miracolo l’uscita dall’euro renderebbe più facile la piena occupazione, una migliore politica industriale, la difesa dello stato sociale e una società meno disuguale. Gallino dimentica che i problemi nei quali ci troviamo, oltre che dal difficile contesto internazionale,  dipendono dal comportamento non solo dei politici che compravano consenso aumentando in modo dissennato la spesa pubblica, accumulando il debito pubblico non per investimenti produttivi ma per alimentare spese correnti a esclusiva finalità clientelare, ma anche degli imprenditori che, contando sul supporto delle svalutazioni, invece di investire i lauti profitti accumulati negli  anni di crescita economica per mantenere e aumentare la competitività delle proprie aziende, hanno accumulato fortune personali, almeno in parte nascoste al fisco, fortune che oggi contribuiscono in modo probabilmente non marginale alla volatilità dei mercati finanziari mondiali. In poche parole i nostri problemi non derivano da troppa, ma da troppo poca disciplina. La disciplina attuale non ci é imposta dalla Germania, ma dal buon senso, spero almeno in parte ritrovato, e dalla drammaticità della situazione economica  enfatizzata dal peso delle dissennatezze del passato. In particolare quando si tratta di soggetti di importanza vitale per il nostro Paese credo che un giornale autorevole come “La Repubblica” dovrebbe imporre, innanzitutto ai propri giornalisti, ma anche a quanti desiderino esporre il proprio legittimo punto di vista, di argomentare chiaramente le proprie idee e non di fare proclami semplicistici sfruttando l’autorevolezza acquisita, a volte in campi non direttamente connessi al soggetto trattato. Cordiali saluti.

Ranieri Di Carpegna

 

Reazione all’articolo di Luciano Gallino pubblicato su “La Repubblica” del 22 settembre 2016

Per Marino

Caro signor Augias,

A seguito dell’articolo “Un sondaggio amico boccia Marino” apparso su Repubblica del 25 ottobre, mi sento in dovere, come semplice cittadino, di spendere due parole a favore del sindaco Marino.  Innanzitutto non mi spiego come mai, fin quasi dai primissimi giorni dopo l’elezione, buona parte della stampa si sia accanita contro di lui. La cosa mi sembra a dir poco sospetta. Premetto che pur essendo romano per nascita non abito a Roma dove però vengo 5 o 6 volte l’anno anche se purtroppo per brevi periodi, sono quindi un osservatore piuttosto superficiale. Da che Marino è sindaco, girando per Roma a piedi o con i mezzi pubblici, ho però personalmente constatato qualche miglioramento e comunque nessun peggioramento che giustifichi tale accanimento nei suoi riguardi. A cominciare dagli arredi urbani. Forse per il fatto che gira in bicicletta Marino si è reso conto che i dintorni di casa sua, intendo il Campidoglio, erano fra i più sporchi e mal tenuti di Roma, cosa inaccettabile per l’importanza simbolica e turistica della zona. Ora la situazione è molto migliorata. Sorprendentemente Marino è anche il primo sindaco di Roma che abbia cercato di migliorare il passaggio pedonale ai piedi della scalinata che sale da piazza Venezia al Campidoglio, una vera gimcana per i milioni di romani e di turisti che lo praticano. Il passaggio è stato razionalizzato ed è stata rinnovata la “zebratura” che da anni era quasi scomparsa. Piccole cose ma significative in quanto poco costose e a due passi dal Campidoglio. Altrettanto evidente l’impegno per il mantenimento decoroso dei giardini, almeno quelli centrali più visibili per il turista. Mi sembrano inoltre lodevoli, anche se certo impopolari, i tentativi di incrementare la pedonalizzazione del centro e di favorire, anche con l’esempio, l’uso della bicicletta. Altrettanto positivi oltre che impopolari, l’impegno e i primi risultati ottenuti nel contenimento degli abusi di occupazione del suolo pubblico e del commercio ambulante. È inoltre, a mio parere, nettamente migliorato il servizio taxi. Ammetto di non aver trovato grandi cambiamenti in fatto di nettezza urbana e di mezzi di trasporto pubblici, ma mi sembrerebbe utopistico aspettarsi miracoli in cosi breve tempo in settori nei quali per decenni hanno fallito sindaci di ogni tipo e colore. So però per certo che se Marino si impegnerà seriamente, come spero, per risolvere questi due problemi la sua popolarità peggiorerà ulteriormente in quanto dovrà scontrarsi non solo con i molti poteri più o meno forti che vi sono implicati, ma anche e forse sopratutto con le molte cattive abitudini di noi tutti cittadini italiani, romani e non romani. Quaranta anni di servizio pubblico nel contesto europeo mi hanno insegnato che la popolarità per chi gestisce la cosa pubblica, soprattutto a livello locale, non é quasi mai indice di interesse per la collettività e di capacità ed efficienza. A questo proposito vorrei segnalare al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, di cui apprezzo moltissimo l’operato e che spero abbia il coraggio di portare avanti il suo programma anche se questo implicherà inevitabilmente un forte calo della popolarità, che finora non ho incontrato nessun fiorentino, di destra o di sinistra, che ne parli bene come ex sindaco della loro città.

Ranieri Di Carpegna

Torino, 25 ottobre 2014

 

Ho ricevuto alcune lettere — che ritengo in buona fede — a difesa del sindaco di Roma. Vanno lette, insieme a quelle di critica. Giuseppe Marino, un omonimo da Reggio Calabria, scrive: «il sindaco di Roma ha o no la libertà di girare con la sua auto (non per fatti propri sin qui non emersi) per la città che amministra? Se la stessa cosa fosse accaduta con auto blu i rilievi sarebbero stati minori come si vide quando l’ex governatrice del Lazio girava con l’auto blu perle sue spesucce. Con quello che la nazione sta passando perché i giornali fanno paginate sulla vicenda?». Scrive Paola Ronci (paolacarlot@libero.it): «Roma è nel degrado: strade, cura del verde, raccolta dei rifiuti. Durante l’amministrazione Alemanno circolavano battute sarcastiche sui parenti del sindaco che avevano riempito gli uffici dell’Atac; mai ci sono state grandi campagne, né giornalistiche, né da parte dei politici di varie tendenze. Ora vedo tanti politici che chiedono le dimissioni perché non ha pagato le multe. Ma di che stiamo parlando?». Stiamo parlando di un kamikaze, di un uomo che, arrivato fresco da fuori, ha immaginato che ci si potesse comportare a Roma come in uno di quei film dove la città è preda d’una banda di manigoldi. Arriva il buono e senza guardare in faccia nessuno, bam, bam, mette a posto le cose tra gli applausi degli onesti. Ha ignorato esigenze e correnti del suo partito, ha alterato la tradizionale spartizione di incarichi e posti, ha cominciato a girare in bicicletta per dare l’esempio, risultando invece in più occasioni solo goffo. Un’aria caricaturale non dissipata nemmeno da un gesto quasi inconcepibile a Roma: trascrivere nozze gay celebrate all’estero. Non ha calcolato che in una città consegnata largamente al cinismo, dove molti tassisti manifestano invocando il duce, si perdona più facilmente l’arroganza (e peggio) che non la goffaggine.

CORRADO AUGIAS

c.augias@repubblica.it Twitter @corradoaugias